abbiamo svolto nei cap. ì dell'introduzione, e dotiamo inoltre quest’ ombra di sensi
eoi quali non possa osservare invece che una parte del piano in cui esso si trova;
avremo così l’ente supposto Q.
Dato così questo ente, esso non può provare coll’osservazione che una retta può
avere un punto comune col suo piano senza che vi giaccia per intero: esso vede che
da un punto di una retta del suo piano si può inalzare una sola perpendicolare alla
retta che giace nel piano, ma non può provare invece colla sua osservazione che
le perpendicolari condotte nello spazio nostro sono infinite e giacciono in un piano
perpendicolare alla retta; e così via.
Ma col suo raziocinio esso potrà generarsi il suo piano, e valendo per esso il
principio a del n. 37 dell’introduzione, nell’identico mcdo da noi adoperato e per
analogia potrà colla sua ragione immaginarsi che fuori del piano esista un punto.
Posto ciò, assoggettando tutti i punti agli stessi assiomi da noi dati e che valgono
anche per esso, l’essere suddetto giungerà alla stessa nostra costruzione dello spazio
a tre dimensioni. Per esso la geometria a tre dimensioni sarebbe puramente ideale,
ma matematicamente vera. Quell’ente potrà utilizzare le proprietà delle figure del no
stro spazio per dimostrare proprietà delle figure del suo piano, che trattate diret
tamente cogli elementi del piano sono meno facili ad essere dimostrate, come spesso
noi stessi facciamo. Ed anche indipendentemente da ciò, la geometria a tre dimensioni
avrà logicamente per quell’ente lo stesso diritto di esistenza della geometria del suo
piano.
Mettiamoci ora noi al posto di quell’essere rispetto all’ambiente delle nostre
osservazioni. Noi possiamo logicamente supporre che fuori del nostro spazio vi sia
un altro punto, senza che questa ipotesi conduca da sola allo spazio a quattro di
mensioni; assoggettando poi questo punto agli assiomi già dati noi ricaviamo tosto
1’esistenza ideale dello spazio a quattro dimensioni (def. Il), in cui è compreso lo spa
zio ordinario; nello stesso modo che il piano dell’ente suddetto è compreso nello
spazio comune.
Teor. I. Due rette (o due raggi) di una stella di 2 a specie determinano un
fascio appartenente alla stella. Tre raggi non appartenenti ad un fascio deter
minano una stella di l a specie appartenente alla stella data.
Difatti due punti in cui le due rette date incontrano lo spazio S 3 (oss. I)
determinano una retta r che giace in S 3 (teor. II, 82), i cui punti congiunti
con S t) danno il fascio della stella determinata dalle due rette; e siccome ogni
retta del fascio è determinata dal punto S 0 con un punto della retta r (se è
parallela la incontra all’ infinito) la prima parte del teorema è dimostrata
(flg. 99).
Analogamente, i tre punti d’incontro dei tre raggi dati con N 3 determi
nano un piano che giace tutto in S 3 (teor. Ili, 82), i cui punti congiunti con S 0
danno una stella di 1* specie (def. I, 82), appartenente alia stella (S 0 S 3 ). E
poiché ogni retta della stella di l a specie incontra il piano direttore (oss. I,
82), essa appartiene allo spazio S 3 , e la seconda parte è pure dimostrata.
Oss. IL D’ora innanzi faremo uso anche delle definizioni date al n. 110 dell’int.
sulle forme a più dimensioni.
Da ciò si deduce tosto che la stella di 2* specie è a tre dimensioni rispetto alle
sue rette o ai suoi raggi, perchè lo spazio direttore è a tre dimensioni.
Def. IL Se nella stella di 2 a specie si considera il punto come elemento,
1) In una breve nota a pag. 28 della Memoria. «Saggio d’interpretazione della geometria non
Euclidea» Bel trami ricorre a un essere le cui osservazioni non eccedano il campo a due dimensioni,
come le nostro non eccedono quello a tre. Di questi esseri ipotetici si ó servito poi anche Hclmoltz
nelle sue Copulare Vorles ungen, per scopi diversi dal nostro, (vedi append,).