Full text: L' arte romanica (3)

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navi, il campanile de’ monaci, la cattedra, la parte inferiore V 
del ciborio o tiburio, la superiore essendo rifatta l’anno 1198, l'as 
e infine l’altare di Vuolvinio. Poco prima del 1128 s’iniziò 
la costruzione del campanile per uso de’ canonici, più tardi ! 
sopraelevato, senza togliere, com’è stato detto, una parte ' 
della parete della chiesa per fargli posto. La muratura della 
chiesa si spingerebbe per la profondità di circa un metro 
dentro la muratura del campanile, secondo il tracciato del 
Dartein; ma ciò è ancora da dimostrarsi. Che invece la 
chiesa sia sorta quasi ad un tempo col campanile si può ritenere 
con lo Stiehl,' osservando la grande corrispondenza della lavo- 
razione nel materiale e nelle forme architettoniche del campa- 
nile de’ canonici e nell’esterno di Sant’Ambrogio.Nella fronte 
occidentale si trovano le stesse lesene semirotonde di laterizio, 
18 centimetri larghe, con le stesse basi di pietra, e il fregio ad 
archetti, come nel campanile, in una forma ben più sviluppata 
di quel che non si veda nella fronte a mattoni del San Marco 
di Venezia. Al principio del secolo xII il bel Sant'Ambrogio 
con i pilastri e con le forme in pietra da taglio arieggianti 
i modelli normanni, con le volte a mo’ de’ sistemi borgognoni, 
con forme speciali veramente italiane delle aperture per la 
luce, con un’accuratezza nuova e grande nell’uso del laterizio, 
s’innalzò solenne, tipico, in mezzo alla popolosa Milano. Più 
tardi, nel 1196, qualche parte della chiesa rovinò, e si ri- 
fece il ciborio, al tempo di Oberto da Terzago (1195-96) e 
del suo successore Filippo da Lampugnano, impostando sopra 
gli archi una cuspide, come quella del ciborio della chiesa 
di Civate, stendendovi al disotto una volta a crociera con 
nervature, e lavorando di stucco, ne’ timpani, figure che ab- 
biamo già descritte,” le quali hanno più corrispondenza con ’ 
l’arte germanica che con la nostra, come si nota osservando, | 
fra le altre cose, un avorio tedesco della collezione Tri- 
1Op. cit. 
2 Vedi vol. II, pag. 547 e seg.
	        
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