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modiglione; le mani e lo scettro son rifatti. I due leoni, su
cui siede re Carlo, non sembrano adornare i bracciuoli del
suo scanno, ma portarlo sul dorso, e spuntano con le teste,
l’una con le fauci aperte, l’altra con le fauci chiuse, fuor dal
drappeggio della clamide regale.
In conchiusione, la statua che Carlo I d’Angiò fece erigere
a sè stesso nel Campidoglio è veramente, secondo l’ipotesi
del Wickhoff, opera di Arnolfo di Cambio: e, date le dimen-
sioni della statua onoraria, dato il tempo in cui fu eseguita,
possiamo riconoscere che il simulacro non è inculto, ma carat-
teristico e grandioso, ben degno del continuatore dell’opera
rinnovatriee di Nicola d’Apulia.
La statua di Carlo I d’Angiò e la lettera, già riportata,
di questo re ai Perugini, che gli avevano inviato oratori per
ottenere Arnolfo a lavorare nella fonte, ci fan pensare come
l’artista, al servizio dell’Angioino, si sia trovato al contatto
dell’arte francese, che si espandeva a Napoli nelle chiese di
San Lorenzo, di Sant’ Eligio, di San Gennaro, ecc., e fuori
di Napoli, nelle Puglie e în Sicilia. * Ciò spiega le forme
gotiche che si vedono principalmente nel ciborio di San Paolo
fuori le mura, specie per la decorazione studiata dalla flora
naturale nei capitelli. Il gotico di Nicola d’ Apulia teneva
ancora dell’arte romanica, dalla quale si era dipartito; invece
il gotico d’Arnolfo a San Paolo acquista sottigliezza, snellezza
ed eleganza francese. Oltre che a Roma, Arnolfo servi forse
re Carlo nel castello di Lagopesole, e lo seguì coi maestri
d’oltremonte nei vasti dominî del Mezzogiorno?
Si è messa al confronto della statua di Carlo I d’Angiò
l’altra in bronzo di San Pietro nella basilica Vaticana (fig. 75,
76); e la dissimiglianza generale dei due monumenti ha impe-
Cfr. ENLART, Origines francaises de l’architecture gothique en Italie, Paris,
Thorin, 1894. — A Napoli, nel Duomo, c’è il sepclero di Filippo Minutolo arci-
Cambio vescovo (+ 1301), con il sarcofago ornato alla cosmatesca, e la fignra giacente del
presule colorata: opera di grande bellezza, non esente, a quanto pare, dagli in-
fussi d’Arnolfo.
VENTURI, Storia dell’ Arte italiana, IV.