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Il monumento sepolcrale di Enrico Scrovegno (fig. 178)
nella cappella dell’Arena, già assegnato a Giovanni Pisano,
fu scolpito dopo il 1336, dai maestri stessi che esegui-
rono i monumenti di Jacopo e Ubertino da Carrara nella
chiesa degli Eremitani in Padova. Diremo in seguito di
essi; intanto osserviamo che i due angioli e la Madonna
nel monumento di Jacopo da Carrara imitano quelli di Gio-
vanni nella cappella degli Scrovegni. È un’imitazione, se
vuolsi, all’ingrosso, ma che serve a dimostrare come anche
dopo cinquanta anni circa fruttassero le semenze dell’arte
del Pisano. A quella scuola di veneti tagliapietra, che
fa tesoro degli esempi di Giovanni, sono da ascriversi i
due angioli del Museo di Berlino, creduti di scultore toscano
tra il 1310 e il 1320, avanzi di un monumento sepolcrale
(fig. 179-180).
Niuno de’ tanti seguaci seppe rendere però la. irrequie-
tezza del pensiero di Giovanni, e la potente energia che
faceva scoppiare di passione le statue. Niccolò dette alle sue
il romano imperio, egli l’impeto della propria anima. Le forme
classiche sminuirono nell’opera di lui, perdettero solennità;
ma logorate, sforacchiate dal trapano, scontorte, resero nella
loro trasfigurazione la vita nuova. Disotto al pondo dell’an-
tico, scorsero le linfe primaverili; tra i ruderi spuntarono
i fiori del sentimento cristiano. La scena sacra, divenuta
dramma popolare, non ebbe più nè limitazioni ieratiche, nè
classici contorni, ma si affollò di personaggi che si mossero
sotto l’ombra del dubbio, agitati dal destino, in preda al
dolore. Gli Ercoli, i Paridi, le Giunoni, le Naiadi subirono
una metempsicosi, rivissero tra le tempeste; i Profeti, come
maghi leggendarî usciti dagli spechi profondi, apparvero
sotto l’incubo della fine delle cose create, così come le Sibille
veggenti lo sfasciarsi del mondo. Più che dall’arte gotica,
che contribuì a dare contrazioni ai corpi, Giovanni Pisano
trasse dalla irrequietezza del proprio spirito l’arte nuova che
per pietà singhiozza, per dolore geme da secoli.