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Albertino pisano, Beltrame milanese, Martino lombardo,
Manno milanese, Janni milanese, Benaccio, Giacomino di
Piacenza. Tutti questi percepivano quattro soldi al giorno.
Ad essi si aggiunsero, pure nel 1299, con lo stesso stipendio,
Guglielmo da Sestri, Tura senese, Ciolo, Nerio e Cecco.
Nel 1301, oltre alcuni di questi ora nominati, si contano
Nardo di Ventura, Bettino fiorentino, Tano senese, Lorenzo
lombardo, Nuto, Guido fiorentino, Ristoro senese, ecc."
Tino di Camaino ci appare per la prima volta a Pisa
l’anno 1311 (1312 stile pisano), come successore di Giovanni
Pisano nella carica di capomaesitro dell’opera del Duomo. In
quell’anno egli dovette attendere al fonte battesimale, che il
Roncioni ° vide tutt’adorno delle istorie del Battista. Il nome
dell’operaio Burgundio Tadi, che già era associato a quello
di Giovanni Pisano, ora si associa all’altro di Tino di Camaino
e nell’iscrizione del fonte battesimale distrutto, e nell’altare
della cappella di San Ranieri, oggi nel Camposanto pisano,
entro la cappella Ammanati, dove si vede scolpito Burgundio
Tadi presentato dal suo santo patrono alla Vergine.
Il Supino, che ha riconosciuto per primo come l’opera
sia da ascriversi a Tino di Camaino, ricorda pure che l’operaio
Burgundio Tadi /ecie fare l’altare di sancto Ranieri, per la
esecuzione del quale sin dal 1292 il giudice e notaio Marco
Sicchi aveva donato terre e poderi. La forma antica dell’altare
si desume dalla rappresentazione, ripetuta ne’bassorilievi della
parte superiore, già collocata sul fondo dell’altare stesso.
Sopra quattro mensole poggia la base dell’ancona, divisa
da pilastrini in tre scompartimenti: in quello mediano è
San Ranieri in cattedra, supplicato dai due committenti Bur-
gundio Tadi e Marco Sicchi; nell’altro a destra è figurata
la consacrazione dell’altare con le reliquie deposte dal clero
entro la mensa; a sinistra è l’offerta dell’altare a San Ra-
nieri da Marco Sicchi. Su questa base s’innalza il timpano,
* Dai registri dell’opera del Duomo di Pisa, n. 77» 78: 79 (Arch.'di Stato).
2 Istorie pisane, III, 113.