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degli affreschi, e li pose negli ambienti più grandi e solenni,
studiati in corrispondenza alle persone che vi dimorano; e
così: come- sul tetto della casa, ove a Padova erano radunati
gli Apostoli, fece tubar le colombe, egli innalzò intorno al
cornicione del palazzo d’ Erode statue di classiche divinità
anche -ignude.
La corrispondenza delle cose esteriori con la vita umana
è tracciata dal genio iniziatore dello stil nuovo; il dram-
maturgo seppe valersi di tutto per dar verità, evidenza alle
scene.
Prima di eseguire gli affreschi della cappella Peruzzi,
Giotto, intorno al 1320, ricevette la commissione dal cardi-
nale Jacopo Stefaneschi per la pala d’altare di San Pietro
in Vaticano, ora nella sagrestia dei canonici e divisa in parti.
Nella tavola mediana rappresentò il Salvatore seduto in
trono (fig. 354), col libro della Verità sulle ginocchia; da una
parte e dall’altra del trono fermano il volo otto angioli; ai
piedi di esso, Jacopo Stefaneschi, a capo scoperto, inginoc-
chiato sul tappeto persiano che si stende sul pavimento, ap-
poggiata la sinistra al più basso dei gradini del trono, s’av-
vicina con l’altra al piede destro di Cristo, quasi non osando,
per venerazione, baciarlo.
Al sommo della tavola, entro un tondo, è il Padre Eterno,
col mondo stellato in una mano, le chiavi nell’altra e due
spade strette tra le labbra, come è descritto nell’Apocalisse.
Più in basso, nei due triangoli mistilinei di qua e di 1à del-
l’arco trilobato; un tondo col busto di un Profeta: nella cor
nice, da ogni banda, tre figure di Santi.
In una delle tavole laterali è dipinta la Decollazione di
San Paolo, nell’altra il Martirio di San Pietro, e il Santo croce-
fisso ha il capo in giù, i piedi e le mani contratte, i muscoli tesi,
il volto energico anche di fronte alla morte (fig. 255). Abbrac-