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stoli, della Ascensione, e quindi del Monito a penitenza, ecc.
lavorava al tempo stesso di Andrea da Firenze nel Cam-
posanto. *
Continua invece la tradizione giottesca Agnolo di Taddeo
Gaddi. Nella prima giovinezza, poco dopo il 1350, dipinse la
Resurrezione di Lazzaro a San Jacopo tra’ Fossi a Firenze;
e il Vasari ne loda la figura di Lazzaro ch’esce dal sepolcro,
per la forma realistica, la quale del resto ripeteva volgar-
mente ciò che Giotto espresse con tanta nobiltà pur dando
alla scena tutta la realistica evidenza. Più tardi, nel 1367 fu
incaricato da Stieri degli Albizzi a fornire i disegni per la
decorazione della loggia in Piazza della Signoria; e verso
quell’anno eseguì, nella cappella della Madonna del Cingolo
nella Pieve di Prato, la leggenda della Sacra Cintola, cioè
l’Assunzione della Vergine, San Tommaso ricevente il dono
della Cintura e che l’affida poi a uno de’ suoi seguaci, dal
quale, passando di mano in mano, giunge al pratese Michele
de’ Dragomari, che, reduce di Terrasanta con la sacra Cin-
tola, la consegna in punto di morte al preposto Uberto, da
cui essa vien trasportata alla Cattedrale di Prato con so-
lenne processione.
Così l’arte ne’ suoi rotuli figurati rendeva le leggende
sacre che correvano il mondo. La leggenda aurea e tutte le
altre che in ogni luogo d’Italia si ripetono in coro, trovano
eco nella pittura, già padrona de’ suoi mezzi, nel popolo di
figure che i continuatori di Giotto stampano nelle chiese.
Ma la forma facile e dimessa dei nuovi pittori e di Agnolo
Gaddi, uno de’ maggiori novellatori di cose sacre, ben può
1 Nellibro suddetto del SUPINO, a pag. 89 si dice che Cecco di Pietro racconciò in
Camposanto le pitture dell’/n/erno guaste per i garzoni nell’anno 1374 (data che potrebbe re
infirmare le nostre conchiusioni); ma veramente la data del restauro, per un guasto che
poteva essere casuale, è del 1379, come del resto corregge il Supino stesso in più luoghi,
secondo il documento dell’Archivio dell’Opera del Duomo (Entrata e Uscita, n. 103 a
stampa, carte 101), già riferito dal BONAINI (Memorie cit., in Annali delle Università
toscane, 1, pag. 531).