ziano sente gli aneliti alle forme nuove, e sprigiona le teste
ridenti e i putti dalle carni sode e le gravi statue delle
Virtù con forza leonina. Nel verziere preparatogli da Gio-
vanni suo padre, egli pianta le querce con un passo di
atleta. Ma quando plasma gli angioli della predella dell’al-
tare della Madonna dei Mascoli e della porta della cappella
Cornaro ai Frari, il forte, il maschio artista trova ogni de-
licatezza veneziana. Non soggetto alla pittura, come lo scul-
tore del San Michele, sulla porta minore della chiesa omo-
nima in Murano, che pare un Jacobello del Flor tradotto
nel marmo, Bartolommeo Bon inizia la grande scultura a
Venezia.
Gli esempî dei Bon furon raccolti da Giorgio da Sebe-
nico, figlio di Matteo da Zara, soprannominato Dalmatico,:
che da Venezia, dove aveva dimorato, si recò alla città na-
tale, e il 22 giugno 1441 strinse un contratto con i procu-
ratori della Fabbrica del Duomo per la direzione dei lavori
durante un periodo di sei anni, a decorrere dal giorno in
cui nel prossimo agosto successivo vi sarebbe ritornato
con la propria famiglia per farvi dimora. Egli trasse da
Bartolommeo Bon le sue forme gotiche così in contrasto
con la pienezza, la esuberanza delle figure, con la libertà
del fare, violento talvolta, a grandi tratti sommarî, rapidi,
energici. Sotto i colpi del suo scalpello il gotico piglia un
impeto nuovo; le grandi foglie paiono vampe agitate dal
vento; le figure dalla fronte breve convessa, dagli occhi
incavati sotto i grandi archi delle sopracciglia, dalla capiglia-
tura a grosse ciocche serpeggianti, dalle labbra nettamente
tagliate, dal mento corto tondeggiante, sembrano uscite dalle
mani d’un barocco del Seicento. Le vesti si stirano sulle
1 A. Fosco, La cattedrale di Sebenico e il suo architetto, Sebenico, 1893: Gra-
NUIZZI, Giorgio da Sebenico architetto e scultore in Arch. storico dell'Arte, 1894.