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dovrà cercarsi per via delle arti cosidette minori, tanto più
mobili, e specialmente della oreficeria, che contava per adepti
quanti al principio del ’400 esordirono nella scultura. Ma
fin qui nessun fatto si è chiarito che avvalori le ipotesi sugli
influssi dell’arte renana e borgognona sulla fiorentina. Solo
può darsi una giusta importanza alle notizie forniteci dal
Ghiberti circa le divulgate stampe in gesso di opere che
abbiamo supposto di Claes Sluter; ma devesi tuttavia tener
presente che, avendo ritenuto il maestro fiorentino che questi
fosse vissuto sino al tempo di Martino V, la notizia è po-
steriore al regno di questo pontefice, e quindi che solo tardi,
allorquando la scultura a Firenze era fiorita di giovinezza
nuova, vi furon vedute le stampe esemplari.
Mentre a Firenze le produzioni trecentesche apparivano
sempre più disseccate al confronto delle nuove e verdi del
secolo successivo, Siena, che pure come Firenze ereditò l’arte
scultoria dalla madre Pisa, ci presenta lo stesso contrasto
della caducità delle vecchie forme e il subito balenare delle
nuove. Le ultime opere lasciateci dai maestri senesi del Tre.
cento attestano l’immiserirsi della scultura: tali le statue
che Bartolomeo di Tommè o di Tommaso di ser Giannino,
detto Pizzino, e Mariano d’Angiolo Romanegli fecero per
la Cappella del Campo, quelle cioè dei Santi Giacomo Mag-
giore e Minore, Pietro e Giovanni Battista. 1 due orafi. è
scultori senesi avevano assunto d’eseguire otto statue; ma
finite quelle quattro, non avendo probabilmente soddisfatto
i committenti, i quali, del resto, si erano riservati di pagarle
più o meno a seconda della rispettiva bontà, fu scolpito nel 1380
da Giovanni di Cecco, detto Giovannino de la pietra, il
San Matteo, nel 1382 da Lando di Stefano pittore il Saz Bar7-
tolomeo, nel 1384 da Matteo d’Ambrogio, detto Sappa, il