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ticolari dell’ossatura e delle vene turgide, le pieghe goticiz-
zanti, l’uso non materiale del trapano nella barba e nella
chioma arricciate è folte, per. accorgerci che lo scultore non
ha riscontro coi meschinissimi marmorari romani: del Tre:
cento. Tutti li. supera, dimostrandosi più romano di tempe-
ramento, più saldo e progredito. Col Noè del Palazzo Ducale,
di fattura lombardo-nordica, neppure può compararsi, tanta
è la differenza di metodi, di tecnica, di tendenze, di tutto.
È proprio una forma sporadica a Venezia, il segno d’una
corrente artistica che non vi lasciò traccia.
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A Milano, il Duomo sorto per fervore di cittadini, attraeva
maestri di Francia, di Fiandra e d’Alemagna; fu un grande
emporio d’arte internazionale; ma non senza difficoltà pene-
trarono nella capitale lombarda forme d’arte venute a ma-
turità in altri paesi. Arrivò al principio della costruzione
(1389) Niccolò de’ Bonaventuris da Parigi, e l’anno appresso
se ne parti. Nel 1391, certo per il sentimento che alla spe-
ciale architettura del Duomo occorresse la esperienza dei
grandi costruttori delle cattedrali d’Oltralpe, fu mandato a
Colonia Giovanni Fernach o Faronech o Farnech da Cam-
pione, scultore oriundo di. Germania, come fa supporre. il
suo nome, o in Germania educato, come fa pensare la sua
pratica della lingua straniera necessaria per quella missione.
Intanto arriva Hans de Firimburg, ma subito vien trattato
con poco riguardo, gli si riduce il salario di fiorini in soldi,
e poi che non taceva critiche spiacevoli ai maestri lombardi,
s’invita Ulrico FEinsingen a far le sue veci. Giunge alla fine
del 1391 Enrico Arler di Gmiùnd, e dopo pochi mesi è man.
dato per i fatti suoi; sopraggiunge Ulrico Einsingen o da
Fissingen o da Ulma, che si propone di mutar disegni
di finestre e di capitelli, ed è subito congedato. Ed ecco,
nel 1399, Giovanni Minot di Parigi, che a sua volta fa gravi
censure ed è rinviato a casa sua. Comunque, è chiaro il fatto