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delle composizioni delle predelle d’altare. Ma Filippo Lippi,
che trasmetteva a Pesellino le invenzioni di Frate Giovanni,
lo trasse con sè a guardare più ai corpi che alle anime. E
proprio quando Filippo, emancipato dall’arte del maestro,
poco dopo il 1440, faceva la pala d’altare per Santa Croce,
il Pesellino dipingeva il gradino della pala stessa collocata
nella. cappella Medici. Parte di esso è a Firenze nella Gal
leria dell’Accademia, parte al Louvre. Qui è San Francesco
che riceve le stimmate, e ì Santi Cosma e Damiano che curano
un malato. Îl Pesellino mostra già un gran progresso nella
rappresentazione dell’ambiente. In quel secondo tratto di
predella la luce entra, schiara tutta la stanza dalle verdi
pareti, fa risplendere il rosso delle vesti e le ingialla nelle
parti in luce, scalda le carni verdognole dell’infermo; e si
stratificano le nubi, e la luce che viene da destra a sinistra
indora la lana del saio del frate. Questi due pezzi di predella
e gli.altri due esistenti nell'Accademia a Firenze (fio. 217),
ci dicono che il Pesellino ebbe per riflesso dall’Angelico la
grazia, la espressione di giovinezza dolce e ispirata, ma ad
un tempo volse gli occhi, con Fra’ Filippo suo maestro, alla
cappella Brancacci, l’Oriente della pittura toscana.
Anche in un’altra predella con la leggenda di San Sif-
vestro, nel palazzo Doria in Roma (figg. 218-219), nella de-
corazione delle vesti a dorature, a puntolini o a grana d’oro,
nelle montagne che formano una specie di vomeri di pietra,
si riconoscono i metodi del Beato Angelico passati a Fra’ Fi-
lippo; ma già nel San Gregorio che prega si riflette l’impeto
di devozione del San Pietro supplice del cielo, nella cappella
Brancacci. I caratteri di questa predella si ritrovano pure
nel disegno della Natività, nel Louvre.
Conquistata la tecnica, il Pesellino sembra buttarsi a ca-
pofitto nel piacere, nel gaudio della vita, nella società più
che mai fiorita. Abbellendosi, scaldandosi, railegrandosi tutto,
mirò ad altri maestri, come Paolo Uccello, per imparare a