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Baldovinetti nella testa di Dafne e nel paese che si stende
come ampia vallata dell’Arno, e v’è al tempo stesso il colore
bituminoso particolare di Antonio e il suo segno che si
curva e si rincurva ne’ contorni delle figure. Anche il Davide
di quest’artista, nel Friedrich Museum di Berlino, opera certo
primitiva, ha il colore viscido tirato sulle forme, e il segno
rotondeggiante, le dita delle mani aggranchiate; così pure
l’Arcole. e Nesso nella Collezione Jarves a New Haven, in
America, con Firenze e la vallata dell’Arno veduta da
un’altura.
Nel 1467 i due fratelli lavoravano intorno alla tavola per
la cappella del Cardinale di Portogallo in San Miniato al
Monte; e Antonio frescò in alto sull’aitare i due angioli po-
derosi che sollevano un baldacchino (fig. 316), e inoltre di-
segnò la tavola (fig. 317) e coadiuvò Piero nel colorirla. A
lui appartiene principalmente Santo Jacopo che sta nel mezzo,
vigorosissimo, non San Vincenzo, pensoso diacono, e non
Sant’Eustachio, giovane cavaliere, che richiama il Davide
citato del Museo di Berlino. Ciò persuade sempre più che
l’intera composizione sia stata tracciata da Antonio, ma che
Piero, non ancora padrone della forma, non abbia saputo
sviluppare il disegno. Fatto è che, vicino al potente Santo
Jacopo, il quale sembra scuoter la terra sotto i passi di
gigante, par che tremi Eustachio, mal conformato nelle deboli
gambe, nello stretto torace, nelle braccia imbudellate; e china
Vincenzo la piccola testa sul corpo pesante che pencola.
Invano le ricche stoffe, i broccati luccicanti, i ricami contesti
di perle distraggono: dai difetti dell’architettura de’ corpi; e
e invano sopra quell’imbottitura del Sant’ Eustachio, Pietro
Pollaiuolo prodigò minuziose ricerche degli effetti delle stoffe
e de* metalli.
I caratteri della pittura. nella tavola di San Miniato si
ritrovano nell’Arcangelo con Tobdiolo (fig. 318), già decorante
un pilastro di Orsanmichele, ora nella Galleria di Torino.
L’Arcangelo, dalla capigliatura incolta, gigante che le grandi