Full text: La pittura del Quattrocento (7, Parte 1)

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La distinzione tra l’arte di Antonio e quella di Piero si 
rende più chiara, osservando le Viti, eseguite in tavola 
dal secondo per il Palazzo della Mercatanzia, ora nella 
Galleria degli Uffizî. Antonio, del resto, ne’ bronzi, come 
ne’ nervosi disegni per i ricami del Museo dell’Opera, al 
Duomo di Firenze, nei nudi, quasi cancellati, dai muscoli tesi, 
della Torre del Gallo ad Arcetri presso Firenze, nella nota 
incisione d’una battaglia, nel disegno di Adamo ed Eva, al 
Gabinetto dei disegni agli Uffizî, mostra una forza rude, esu- 
berante, una veemenza dell’azione nelle figure saldamente 
costruite, come martellate sull’incudine, nodose, contorte, dai 
capelli setolosi, dai forti zigomi, dai muscoli rigonfi. Una 
forza bruta, quasi selvaggia, è nel suo ferreo segno, che 
gode d’un gran cclpo di scure e del forte scoccar d’una 
freccia. Piero, di poca levatura, lo seguì, lo imitò, ma senza 
la naturale energia di lui, fu grossolano e anche volgare. 
Nel 1469 furono allogate a Piero Pollaiuolo le Virtà che 
dovevano ornare la sala del Magistrato della Mercatanzia. 
Vi dipinse per primo la Carità (1469), poi la Fede e la Tem- 
peranza (1470); al Botticelli, nel 1470, si affidò la pittura 
della Fortezza; e a Piero Pollaiuolo rimasero allogate le 
altre tre Virtù, la Prudenza, la Speranza e la Giustizia. La 
Carità è della mano di Piero (fig. 319), ispirato al disegno 
che il fratello Antonio fece nel rovescio della tavola dove 
si vede tuttora a carbone e biacca; e così sono sue le f- 
gure della Fede e della Zemperanza (fig. 320), le altre della 
Speranza (fig. 321) e della Giustizia (fig. 322), e anche quella 
della Praudenza (fig. 323), benchè in essa, come nella Carita, 
dovette ricorrere per il disegno al fratello, a quel che s’in- 
dovina per la figura che riempie il fondo dello scanno gran- 
diosamente, coperta di veste violacea ricamata a filetti bianchi, 
e manto azzurro foderato di verde con ricca orlatura cosparsa 
di pietre preziose. Tutte le allegoriche donne sono robuste, 
ma senza finezza, come gettate in bronzo poi cesellato e 
smaltato. 
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