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rata su la pelle. Ma quel forte vecchio, con gli occhi inca-
vati, che prega e geme e si batte, non è più il burbero anaco-
reta che l’arte rappresentò nel Quattrocento ; bensì una tragica
figura d’uomo che sente il rimorso degli errori altrui, piange
e sanguina, si dispera e confonde i suoi lai con i ruggiti del
leone. Non è più il monaco nella grotta, è un’anima geme-
bonda che dal deserto vede e sente la rovina del mondo
antico, la corruzione degli uomini e del clero, la novella
Babilonia. Ma nè l'Adorazione de’ Magi, nè il San Girolamo,
nè altre opere posteriori, espressero tutto quello che Leo-
nardo pensava, perchè l’infinito moltiplicarsi delle intenzioni
a certo punto colpiva d’inerzia la facoltà attuatrice.
Leonardo assurgeva con la forma all’idea, e i caratteri,
come il significato, il movimento e l’effetto delle figure, si
arrendevano al genio investigatore della ragione d’ogni cosa,
che voleva i movimenti « annunziatori del moto dell’animo »,
e i componimenti delle istorie dipinte producessero nei riguar
danti il medesimo effetto cercato dalle linee e dai colori.
Il genio universale di Leonardo precorse i tempi. Per.
ciò, sebbene più anziano di tutti quei « semidei », che par-
vero nel Cinquecento rinnovare in Italia un’età d’oro, Leo-
nardo si considera ragionevolmente della loro schiera. Nel
secol nuovo ch’egli preconizzò, non fu il più venerato o il
più seguito, perchè giganteggiò a parte, solitario, incom-
preso. Altri furono gli autori del Cinquecento: ecli ne fu
il precursore.