Full text: La pittura del Cinquecento (9, Parte 1)

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gliezza, fluttua rapito dall’aria; l’attaccatura e la forma dell’orec- 
chio sono di rara giustezza; e la ‘luce, che dall’alto cala sul 
viso paffuto, proietta l’ombra della fronte convessa nel cavo 
dell’orbita, intorno alla bocca di poppante, soavissima; accentua, 
come nel putto della Madonna di Pietrogrado, la rotondità 
del mento, striscia sulla morbida seta del labbro inferiore. 
E dall’ombra dell’orbita fiorisce la pallida fosforescenza degli 
occhi volti in alto, il bagliore opalino che illumina l’An- 
gelo primitivo nel Battesimo del Verrocchio, l’arcuato profilo 
muliebre di uno schizzo nel Museo Britannico di Londra, la 
soave testa china della Vergine ritenuta studio per la Madonna 
Litta. 
Siamo, dunque, ben lontani da Lorenzo di Credi, nome accen- 
nato dai critici. Nessun confronto possibile fra il quadro di Mo- 
naco e l’Annunciazione della Galleria degli Uffizi, capolavoro di 
Lorenzo. Anche qui la parete della stanza è tutta trafori, aperta 
sull’atrio e sul lucente giardino, ma quella parete è di legno sot- 
tile, e le modanature sono senza corpo, senz’ombre, delineate 
con precisione da filamenti nitidi di luce, mentre la muraglia di 
Leonardo s’addentra ed emerge, varia, col gioco dei piani, le 
rifrazioni luminose. Il fondo dell’Annunciata, con gli spazi 
regolari e calcolati, tra albero e albero, tra radura e radura, 
con le piante lucenti come le figure e il suolo terso, quasi lavato 
da pioggia, tipico esempio dei ben culti paesi di Lorenzo di 
Credi, contrasta con il fondo di Monaco, tutto punte di roccia e 
spume di luce, fantastico e animato scenario, dove le masse, 
frastagliate e corrose, sembran lontane ed incerte, in un mondo 
di sogno; nè i placidi bambini di Lorenzo possono richiamare la 
trepida vivacità dell’atteggiamento di Gesù nel quadro di Mo- 
naco, l’estasiata luce del suo sguardo. Le qualità di Lorenzo, 
soprattutto costituite di lindura, di chiarezza, di ordine meti- 
coloso, si contrappongono a quelle del quadro di Monaco, che 
trae vita dal movimento instabile dell’ombra e della luce nei 
cartocci dei panni, nelle pieghe delle carni, nelle anfrattuosità 
del paese, nelle increspate corolle dei fiori.
	        
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