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chezza e di festa, tra personaggi ornati di perle e di gemme, in
costumi di gusto perfetto, ove il lusso non esclude l’eleganza,
le sete e i velluti serbano il loro splendore, non soffocato da
fasto superbo e rumoroso. È una canzone di festa, quasi ar-
cadica, tanta è la naturale bontà, la grazia cortegiana di Boni-
facio Veronese; ma in fondo egli ci dà, sia pure purificata, in-
gentilita, una scena di vita veneziana, ove la sua reginetta si pre-
senta in molti aspetti, di figlia di Faraone, di nutrice che le pre-
senta il pargolo, di dame pronte a cantare, di fanciulla che ascolta
Fig. 724 — Pinacoteca di Brera, a Milano.
Bonifacio de’ Pitati: Mosè salvato dalle acque
(Fot. Brogi).
parole d’amore. E la scena è perfetta in tutta quella luminosità,
in quelle luci d’argento, in quelle armonie dei colori intensi e
pure concordi, in quel lusso senza strepito.
La traduzione di fatti biblici in scene di vita veneziana,
lontane dal romanesimo e dal classicismo, infonde al soggetto
novità, sincerità semplice, forma dialettale. La commedia biblica
si rappresenta da attori veneziani, con i curiosi della piazza di
San Marco, e non manca il solito Orientale a conversare, a discu-
tere con un vegliardo, qualche barcarolo trasformato per l’oc-
casione in carnefice. Così nel Giudizio di Salomone dell’Acca-
demia di Venezia (fig. 725), i tre uomini truccati da soldati ro-