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irradiazione delle dita tra i raggi d’ombra e sole della stola. Un
senso tragico della vecchiaia si sprigiona da quella mano lunga, dis-
seccata, macera, che esce dall’ampiezza maestosa della manica.
Tra i massimi esempi dell’arte di sorprendere un carattere è
invece il ritratto dell’Aretino (fig. 163). Lo stesso paludamento,
ampio, chiassoso, frecciato di luci, si mette all’unisono col volto
spavaldo, lo sguardo crudele, la bocca maligna. Sembra ch’egli
si prepari a lanciar contro Tiziano pittore del ritratto la sua
freccia avvelenata: «Certo esso respira, batte i polsi e move
lo spirito nel modo ch’io mi faccio nella vita. E se più fossero
stati gli scudi, che glie ne ho conti, in vero li drappi sarieno
lucidi, morbidi e rigidi come il raso, il velluto e il broccato ».
Le squillanti pennellate sembrano indizi di negligenza e di'
fretta al violento letterato, che Tiziano quasi settantenne ha
animato di una volontà gigante e aggressiva, accentuando i
lineamenti, gonfiando come stendardo il manto, saettando
sprazzi di luce dalla elettrica pennellata.
Il mascarone* si presenta in aria di sfida, d’imperio, di tra-
cotanza. Il sole schiara la faccia sanguigna, le labbra male-
diche, batte sul manto di raso a sprazzi, lampeggia sulle co-
stole delle pieghe; e indora la collana a grossi cerchi d’oro
vecchio, la veste pure d‘oro vecchio. È la luce a lampo, è lo
sfarzo del letterato potente, è l’eloquenza del male.
se se
Nel Cristo coronato di spine, al Louvre (fig. 164), il miche-
langiolismo, di cui è prova anche il gigante ritratto aretinesco,
si accentua: un dorso nudo è una montagna di carne, e i
rilievi turgidi dei muscoli lo mettono all’unisono col bugnato
del palazzo, che sembra tratto dalle architetture del Sanmi-
cheli a Venezia e a Verona. Sull’architrave torreggia un busto
di Tiberio, che dà l’ultimo tocco alla potenza romana della
massa. Tutto divien turgido, massiccio, erculeo: edifici e persone,
1 V, lettera dell’oratore dei Gonzaga.