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iede sul drappo verde oliva, che il sole imbionda agli orli, u
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angiolo degno del Romanino, tanto è morbido e tenero nella
amma d’ori che s’increspano sulla veste gialla e tra il velo
’ombra della testa china in ascolto, con lo sguardo fuggitivo,
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remulo, mesto, come la luce che sfiora il volto e la molle mano,
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e s’inargenta sul biancazzurro dell’ala. L’angioletto pensoso è la
hiave luministica del quadro, basato sopra una ineffabile ar-
ionia di grigi argentei.
Chiara, accanto alla ramigna testa possente di Antonio
bate, s’innalza le Vergine, che ha per fondo, nell’architettura
di pietra bigia, un drappo d’argento, su cui bianche luci e ombre
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rige passano come vaporose ombre di nubi nel cielo. La testa
d’Antonio stacca, nel suo calore di tono, dal freddo grigio; e il
suo occhio penetrante si vela di stanchezza. Ombre di nuvole
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e chiarori lunari corron sul drappo, mentre dal tappeto verde
che veste i gradi del trono sprizzano luci bionde.
La personalità del Moretto si determina quasi compiutamente
‘ell’ Incoronazione della Vergine, ornamento della chiesa dei Santi
azzaro e Celso (fig. 149). San Michele trafigge il demone; pre-
gano i Santi Giuseppe, Francesco e Nicola da Bari, fissi in alto a
Maria, che, umile e commossa, riceve la corona dal Redentore
ncor savoldiano è Giuseppe, visto di traverso: massa scura,
rupe ferrigna dietro il femmineo San Michele marezzato di
uci argentee; e in tutto il resto è il Moretto dolce, pacato, ne
ruscìo delle sete e dei rasi, pieno di sacra unzione, di luccichii,
i molle e tenera grazia. Nella festosità del cielo e della terra,
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ella biandizie dei colori, la Vergine, entro, la conca celeste a
rappoli di cherubini, riceve la corona. Si muove di traverso
Gesù, s’inchina Maria angolarmente, formando un gruppo che
iecheggia delle angolarità delle figure di Santi in terra; dietro il
ruppo divino la conca del cielo si purifica, si schiara; e i cumu-
etti delle nubi, nidi di cherubini, si ritraggono da quel centro
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uminoso lungo la centina formata dalla luce. Non più, come
nell’Assunta, la scurità del catino fa meglio rifulgere la divina
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adre: qui la luce sale dal fondo, e s’accentuano i chiarori me-