Full text: La pittura del Cinquecento (9, Parte 5)

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il placido vegliardo nel Dio delle tempeste, per il solo effetto 
dell’improvvisazione luminosa. 
Sui colpi di luce il Beccafumi fonda lo spettacolo nel comporre 
i due grandi quadri con storie di Mosè per la Cattedrale di 
Pisa (fig. 276), dove, senza perder di vista gli esemplari raffael- 
leschi, nel modulo gigante e nei convulsi torcimenti delle figure, 
tenta accostarsi al mondo ciclopico ‘di Michelangelo. In uno 
scenario di rocce, liquefatte al passaggio della luce e tormentate 
dal segno nell’ombra, s’innalza, come altro cuneo di roccia, il 
gruppo diruto degli Ebrei, suggerito forse al Beccafumi dal gruppo 
a destra della Trasfigurazione di Raffaello, come dalla Galatea 
è tratto il putto in primo piano, e dal San Pietro della Trasfigu- 
razione il particolare della mano aperta d’un michelangiolesco 
nudo atletico, col palmo controluce e le dita irradiate. Dal lato 
opposto, sopra una piattaforma di roccia, il fantasma snodato 
di Mosè si divincola nell’atto di scagliare la tavola della legge; 
e par si sfasci la sgangherata persona in quel forzato contorci- 
mento. ‘Tutti i motivi tratti dall’arte trionfante in Roma con 
Raffaello e con Michelangelo ci si presentano travisati: la pi- 
ramidale massa delle figure attorno l’ossesso nella Trasfigura- 
zione, di compattezza muraria, tanto è greve e serrata, si rarefà 
tra le mutevoli vicende della luce e dell’ombra; la figura di Mosè, 
parodia delle terrificanti moli michelangiolesche, risulta a un 
effetto del tutto opposto a quelli di Michelangelo, ricadendo 
nella sigla calligrafica del gotico in ritardo, e presentandosi, in 
quell’atteggiamento squinternato, come il tiranno di commedia 
delle scene beccafumiane. Tutti gli angoli della figura sono smus- 
sati, tutto il corpo si snoda per curve d’iperbolica lunghezza; 
mancano le articolazioni possenti dell’ingranaggio umano di 
Michelangelo e ogni risalto di piani costruttivi: par si dile- 
gui la forma al passaggio della luce. Sicchè proprio qui, dove 
egli tenta di trovare un accento michelangiolesco, dimostra la sua 
incomprensione assoluta di quel mondo d’arte in cui la forma 
impera: la statua di Michelangelo diviene una cifra, in riscontro 
lineare e luministico con la sinuosa figura di donna nell’angolo
	        
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