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il placido vegliardo nel Dio delle tempeste, per il solo effetto
dell’improvvisazione luminosa.
Sui colpi di luce il Beccafumi fonda lo spettacolo nel comporre
i due grandi quadri con storie di Mosè per la Cattedrale di
Pisa (fig. 276), dove, senza perder di vista gli esemplari raffael-
leschi, nel modulo gigante e nei convulsi torcimenti delle figure,
tenta accostarsi al mondo ciclopico ‘di Michelangelo. In uno
scenario di rocce, liquefatte al passaggio della luce e tormentate
dal segno nell’ombra, s’innalza, come altro cuneo di roccia, il
gruppo diruto degli Ebrei, suggerito forse al Beccafumi dal gruppo
a destra della Trasfigurazione di Raffaello, come dalla Galatea
è tratto il putto in primo piano, e dal San Pietro della Trasfigu-
razione il particolare della mano aperta d’un michelangiolesco
nudo atletico, col palmo controluce e le dita irradiate. Dal lato
opposto, sopra una piattaforma di roccia, il fantasma snodato
di Mosè si divincola nell’atto di scagliare la tavola della legge;
e par si sfasci la sgangherata persona in quel forzato contorci-
mento. ‘Tutti i motivi tratti dall’arte trionfante in Roma con
Raffaello e con Michelangelo ci si presentano travisati: la pi-
ramidale massa delle figure attorno l’ossesso nella Trasfigura-
zione, di compattezza muraria, tanto è greve e serrata, si rarefà
tra le mutevoli vicende della luce e dell’ombra; la figura di Mosè,
parodia delle terrificanti moli michelangiolesche, risulta a un
effetto del tutto opposto a quelli di Michelangelo, ricadendo
nella sigla calligrafica del gotico in ritardo, e presentandosi, in
quell’atteggiamento squinternato, come il tiranno di commedia
delle scene beccafumiane. Tutti gli angoli della figura sono smus-
sati, tutto il corpo si snoda per curve d’iperbolica lunghezza;
mancano le articolazioni possenti dell’ingranaggio umano di
Michelangelo e ogni risalto di piani costruttivi: par si dile-
gui la forma al passaggio della luce. Sicchè proprio qui, dove
egli tenta di trovare un accento michelangiolesco, dimostra la sua
incomprensione assoluta di quel mondo d’arte in cui la forma
impera: la statua di Michelangelo diviene una cifra, in riscontro
lineare e luministico con la sinuosa figura di donna nell’angolo