nelle altre figure. Inetto a costruire lo sfondo, mette, nel mezzo, il troncone
della Croce col soppedaneo e un pezzo di scala, cui dovrebbe
2. (fig. 399), esser appoggiata. Davanti a quel troncone, a quella scala so-
spesa, s'ammucchiano le figure, s’aggomitolano i corpi. Se si con-
fronta questa teatrale e confusa composizione, ove l’Agresti,
tornato alla sua Romagna, si dibatte tra il gigantismo formale
romano e un tentativo di scioltezza e di fluidità pittorica, con la
pala d’altare della chiesa dello Spirito Santo a Ravenna (fig. 400),
dipinta avanti la venuta nell’Urbe, si vede come l’ambiente ro-
mano sia stato dannoso al Forlivese, costringendolo a staccarsi
dalle tradizioni della sua terra, che lo portavano appunto verso
effetti pittorici. Composta sopra una semplice trama grafica
è la scena divisa in due campi: un arco d’angioli in alto, un arco
di Santi in basso, la Croce nel mezzo: oscura la Croce, illuminate
le forme compatte degli Angioli, sfiorata da fluide luci la teoria
dei Vescovi, che è la parte migliore dell’opera e lascia scorgere
chiara l'ispirazione dal Parmigianino. Nell’Urbe, il semplice
pittore vuol acquistare la cittadinanza artistica romana, e di-
mentica le sue tendenze coloristiche per gli esercizi di ricostru-
zione classica, per le accademie alla Raffaello e alla Michelangelo,
per le tinte aride e stonate.
Qualcosa di quella sua tendenza pittorica di romagnolo, che
s'era spenta nelle opere del tempo romano, si riflette invece in
uno schizzo a penna del gabinetto delle stampe e dei disegni
agli. Uffizi, da lui firmato, rappresentante un Miracolo del Re-
dentore (fig. 401). Si può in esso ammirare la scioltezza del segno
che, tracciate le linee principali delle figure, formicola intorno
alle teste a riccioletti, e anima la scena con le palme spianate
delle mani in alto. Lo sfondo in luce però è basso, e sottolineato
1bbia por- dal corteo. In conclusione, il manierista passa da Raffaello a
ne Senio Michelangelo, ingrandendosi, sbracciandosi, cercando nelle po-
li adopera siture, nelle accademie di nudo, nelle esercitazioni classiche,
ormi delle l’anima che non traluceva più da quella scenografia manchevole,
VENTURI, Storia dell’ Arte Italiana, IX, 5.
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