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« per la vastità della composizione, ma altresì per gl’infiniti gra-
ziosissimi motivi d’ogni genere, spinti in qualche parte fino ad
un eccesso di vivacità realistica ». Da una copia del dipinto (fi-
gura 458), possiamo farci un'idea dell’opera perduta, vedere
l’azione animata dei personaggi, che additano, favellano, si vol-
gono: un ragazzetto: sta per contrastare, alzando il pugno ad
un altro ignudo, il possesso d’un agnello, mentre una donna s’al-
lunga a trattenergli il braccio. Appresso, a destra, un fanciullo
tiene un cesto con una nidiata d’uccelletti, un pastore seminudo
porta tra le braccia un altro agnello; più in 1là un maestro di
scuola indica il passo da leggere in un libro a un bambino. Tutta
questa folla interrompe il momento solenne della Purificazione:
guarda Simeone al Bambino che si torce verso la madre rivolta
a Giuseppe additante le tortore. Un gran corteo di vecchioni, di
gentiluomini, di spettatori, fronteggia la scena sacra, sopra la
quale, tra la selva delle colonne, s’innalza un arco trionfale con
figure di Profeti mossi con impeto. Di là dalle grandiose arcate,
son palazzi adorni di statue, di fronte a una fortezza e a torrioni.
Questa scena grandiosa, piena di movimento, richiama in varie
parti e in alcuni tipi Cesare da Sesto, che a Messina dipinse l’A-
dorazione de’ Magi, ora nel Museo Nazionale di Napoli. Pur-
troppo la copia, quantunque ben condotta, non ci permette
più di studiare il dipinto per l’effetto coloristico. Ci basti ad-
ditarlo, per il suo insieme desunto da Cesare da Sesto, per i moti
delle figure e dei gesti veramente siciliani, per l’ampiezza monu-
mentale della composizione.
VINCENZO DA PAVIA
Vincenzo da Pavia, nella chiesa di San Domenico a Palermo,
dipinse l’anno 1540 la Madonna del Rosario (fig. 459) in modo
arcaistico, dando alle figure del cielo una grandezza sovrana,
a quelle della terra, minuscola così da farle scomparire tra i fiori,
i ruderi, le ombre del piano. Calano le figure del cielo come un
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