costruttivo vien meno: le figure rimangon tutte su d’una stessa
superficie, e si dispongono intorno alle scale come intorno a una
grande iniziale miniata. Ridotta a cifra l’architettura dei miche-
langiolisti romani, il pittore segue lo stesso criterio calligra-
fico nel delinear in ritmo carezzevole i contorni delle pieghe
falcate e nel disporre im cadenza le pie donne attorno la Ver-
gine. Così lontano, nella sua visione artistica, dal mondo archi-
tettonico di Raffaello, il maestro lombardo sa tuttavia, come
pochi tra i seguaci non immediati dell’Urbinate, rifletterne, nei
volti e negli atti delle pie donne, il lume soave di grazia, di si-
lenziosa pietà !.
ANTONELLO RICCIO
Esempio tipico del pittore, che trasporta i moduli di Andrea
da Salerno nelle forme tradizionali messinesi, è il quadro con i
Santi Benedetto, Placido e Mauro in $. Gregorio a Messina (fig. 463),
ove il primo, colossale, enfatico, sembra invadere tutto il campo
e i due seguaci stringersi, spianarsi, per lasciare il posto a sua
imponenza. In San Benedetto macchinoso, esuberante, è la forza
plastica delle propaggini antonelliane, mentre nelle teste dei
due seguaci si riscontra, traverso la derivazione da Andrea da
Salerno, qualche accenno ai tipi da cui questi fu ispirato, cioè
a quelli di Fra’ Bartolommeo della Porta.
FILIPPO PALADINO
Due volumi di suoi disegni, nel Museo di Siracusa, mostrano
qualche accenno all’arte di Andrea del Sarto, che il Paladino,
in ritardo, alla fine del ’500, ancora richiama. I suoi lavori nella
cattedrale di Pisa, nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano a Livorno
* Sappiamo anche, di questo pittore, che il 30 agosto 1530 aveva dipinto una pala per
la confraternita di San Giacomo in Palermo; che il 1542 segnò con questa data la Flagella-
zione in San Giacomo la Marina in Palermo; che il 1554 (16 aprile) un legnaiuolo si obbligò
a recarsi in Africa, al forte della Goletta, per collocare un quadro da lui dipinto: che infine
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