Vi si nota un tintorettismo disciplinato alla Giulio Romano,
irriconoscibile a forza di ripieghi accademici. Le ombre sporcano
il nudo di Cristo, muscoloso e fiacco, nel disegnarne i muscoli.
Appena in una figura di spettatore col volto schiarato di sottinsù
è qualche verace traccia di modi tintoretteschi.
‘Tra le scarse opere pittoriche di Giulio del Moro, più noto
come scultore, è la composizione della Presa di Caffa, dipinta
per la Sala dello $crutinio in Palazzo Ducale a Venezia (fig. 31),
amalgama di elementi veronesiani e tintoretteschi. Il tema guer-
resco e l’esempio di tante opere simili eseguite in palazzo ducale
da seguaci del Tintoretto, liberano il pittore dall’uggia del trucco
classicistico e lo slanciano in pieno carnevale veneziano tra com-
parse di capitani in atteggiamenti di gran prosopopea, gonfi
d’aria e di vanità, di tamburini da corteo di villaggio, tra il gar-
rire degli stendardi arrotolati dal vento. TL’effetto vivace otte-
nuto con lo scorcio ardito della scena, anche se di gusto ampol-
loso, è preferibile alla monotonia pedantesca della composizione
di Giulio del Moro nella Sala del Maggior Consiglio, e a buona
parte della sua produzione di scultore accademico.
Sembra che l’esempio del ‘Tintoretto e dei manieristi tinto-
retteschi dia slancio alla torpida fantasia, spingendola, in questa
opera di palazzo ducale, come spesso avviene, quasi a un'’eb-
brezza di effetti spettacolosi, e manifestandosi, nell’Ultima Cena
di Santa Maria Zobenigo (fig. 32), in intensi risalti luministici
di masse e in serietà costruttiva. Ogni figura, ogni gruppo di
figure, è qui veduto in rapporto col monumentale loggiato, dove
la predilezione di Giulio del Moro scultore per l’ordine classico
si riflette in ogni particolare. La distribuzione stessa delle figure,
dei gruppi, degli oggetti di natura morta in primo piano, è il
risultato di tutto un calcolo d’equilibrio, dove si sente, come in
qualche atteggiamento retorico, l’artista attratto dal manieri-
smo romano. Anche il Parmigianino sembra imprimere nella
svelta semplicità delle due anforette in primo piano il proprio
suggello di eleganza formale, mentre il musetto di micio che sbuca
nel sole dal suo nascondiglio di pentole e cesti è un brano di vita
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