Full text: La pittura del Cinquecento (9, Parte 7)

= ITA = 
dell’ombra, che si fa molle e torbida. Non solo stridono note 
dissonanti, quale il rosso viola, proprio dei Maganza, nelle vesti 
del re in trono, e la stagnola dorata della goffa statua di Marte, 
ma anche si sente lo sfacelo della fantasia cromatica di Paolo 
nella distribuzione di luci e ombre a contrapposto meccanico, 
proprio equivalente a quello dei contrapposti di posa nel manie- 
rismo romano. 
Anche nella Pietà (fig. 60), B. G. Maganza si presenta come 
un veronesiano intorbidato, greve, plebeo; meglio nel Presepe 
con la Madonna in veste rosata, gli angioli luminosi di giovinezza, 
i pastori bronzei che adorano il fanciullo divino. 
In Santa Corona, raffigurando la Conclusione della Lega 
contro il Turco (fig. 61), opera firmata, il pittore scende al livello 
dei peggiori manieristi di stampo veronesiano, operanti a Ve- 
nezia, in palazzo ducale. Compone il quadro storico come una 
pala d’altare: sopra una piattaforma il pontefice tra l’imperatore, 
il doge e una cerchia di gentiluomini, come la divinità in un coro 
di Santi; due soldati, uno seduto, uno eretto ai piedi della scali- 
nata, una gloria d’angioli in alto, da cui si staccano la veronesiana 
figura della Giustizia e l’altra palmesca, tutta rilucente, di Ve- 
nezia col leone. La composizione è del tutto meccanica e superfi- 
ciale: rassegna di secche figure, appena animata dall’immagine 
translucida del giovinetto fatuo seduto in armi sui gradi del 
trono e dall’altra snodata e vitrea del lungo alabardiere. Tutto 
è reso con fatica pedestre, senza slanci, senza sincerità: i perso- 
naggi del primo piano, eroi da carte di gioco, le teste degli spetta- 
tori, cozzanti nel fondo per mancanza di spazio, i grossi corpi 
degli angioletti induriti da ombre, la minuta grafia degli ornati 
e delle pieghe. 
Nella chiesa di Santa Corona, nella cappella del Sacramento 
in Duomo, e nell’oratorio del Duomo, Giambattista Maganza 
ebbe a collaboratore suo figlio Alessandro, che di poco differisce 
dalla maniera paterna. Nel soffitto dell’oratorio (fig. 62), in ge- 
nerale domina l’ibrida maniera tintorettesca-veronesiana che 
invade al chiudersi del Cinquecento Venezia: anche quando le
	        
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