278 I. — ARCHITETTURA DEL CINQUECENTO |
« bugnato aspro e frontespizi alle finestre ». È poi così commenta:
«tali frontespizi saran peggio della gramigna ». Anche qui abbiamo
;l sistema, consueto in Giulio Romano, delle riquadrature; nel primo
piano, le finestre, alternativamente centinate o a triangolo isoscele,
stanno entro l’incavo corniciato tra lesene abbinate. È ispirato, il
palazzo, come (l’altro Cicciaporci, alle forme bramantesco-raffael-
lesche, e vi si aggiunge un’imitazione intelligente, ma fredda, del
classico.
Dal palazzo Cicciaporeci all’altro Maccarani eran passati anni
parecchi, ma gli elementi dell'uno son conservati in quelli dell’altro,
dopo esser stati applicati a Mantova in tante fabbriche dei Gonzaga 1.
A Mantova, il palazzo del The si distende enorme nella pianura:
1a sua facciata (figg. 245-246) tutta a bugnati, con porte e finestre
sovrapposte da conci a ventaglio, divise da pilastri dorici con il cor-
nicione a metope e triglifi, sembra bassa, una grande cinta di delizia
distaccata dall’esterno, una chiusa di viridario riservato. Si entra
da un lato salendo alcuni gradi che portano a una triplice arcata,
la quale interrompe il succedersi delle lesene innalzate sino alla tra-
beazione: resta così una zona vuota sulle tre arcate, uno spazio che
vorrebbe qualche riscontro con le finestrelle aperte tra lesena e le-
sena. Vanno le lesene a uguale distanza verso gli angoli della facciata,
e poi si abbinano, e infine si stringono, verso gli angoli, si toccano
nei capitelli e nelle basi; tra l'una e l’altra, s’apron finestre, s’incavan
quadrati, s’incurvano nicchiette. Le lesene, in quel mutamento di
distanza, quasi affrettandosi verso gli angoli, sono di piacevole ef-
fetto, ma, sopra i loro capitelli, 1a trabeazione sembra abbassarsi
troppo presto, quasi manchi il coronamento dell’enorme edificio.
Il grande atrio del palazzo (figg. 247-253) ha nel mezzo la grande
loggia, un gruppo di quattro colonne doriche binate, e pilastroni in
corrispondenza, nicchie e nicchie con statue tra i pilastri, stucchi e
pitture sulle pareti e la sonante volta; un insieme grandioso, sun-
tuoso, eloquente, di scenario magnifico. La fredda ragione di Giulio
Romano, che pareva a Roma troppo spesso evadere dal mondo
ideale di Bramante e di Raffaello, traducendone in aridità mecca-
1 Fu attribuita a Giulio Romano la pianta di Santa Maria dell’Orto. Gliela at-
tribuì il Milizia, osservando che «le fabbriche di Giulio Romano sono generalmente
architettate con giudizio » (MILIZIA, Memorie degli architetti, Bassano, 17385).