Full text: Architettura del Cinquecento (11, Parte 1)

II. — ARCHITETTI DEL CENTRO E DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA 865 
Maria Duca di Urbino, sotto l’ombra del quale è divenuto ottimo 
architetto ». E col più vivo entusiasmo, discorrendo della Scena 
satirica, il Serlio così si esprime: « questo già viddero gli occhi miei 
in alcune Scene ordinate dall’intendente Architetto Girolamo Genga, 
ad instantia del suo padrone Francesco Maria duca d’Urbino, dove 
io compresi tanta liberalità nel Principe, tanto giudicio et arte nel- 
l’architetto, et tanta bellezza nelle cose fatte, quanto in altra opera 
fatta dall’arte, che da me sia stata veduta giammai. O Dio immor- 
tale che magnificentia era quella di veder tanti arbori, et frutti, 
til ein tante herbe, et fiori diversi, tutte cose fatte di finissima seta di va- 
riati colori, le ripe e i sassi copiosi di diverse conche matine, di lu- 
SENTATSI in mache, et altri animaletti, di tronchi di coralli di più colori, di madre- 
perla, et di granchi marini inserti ne’ sassi, con tanta diversità di 
cose belle, che, a volerle scrivere tutte, io sarei troppo longo in questa 
parte. Io non dirò de’ Satiri, delle Ninfe, delle Sirene, et diversi 
lodi anni monstri, o animali strani, fatti con tal artificio, che acconci sopra 
e Ri gli uomini et fanciulli, secondo la grandezza loro, et quelli andando, 
i Mt et movendosi secondo la sua natura, rappresentavano essi animali 
Si Maria vivi. Ft se non ch'io sarei troppo prolisso, io narrerei gli habiti su- 
ni Battista perbi di alcuni pastori fatti di ricchi drappi, d’oro et di seta, foderati 
di finissime pelli d’animali selvatici. Direi ancora de’ vestimenti di 
Rovere in alcuni pescatori, Ii quali non furon men ricchi de gli altri, le reti 
de’ quali erano di fila d’oro fino, et altri suoi strumenti tutti dorati. 
iiata Direi di alcune pastorelle et Ninfe, gli habiti delle quali sprezzavano 
l’avarizia. Ma io lascierò tutte queste cose ne gli intelletti de’ giudi- 
ciosi architetti ». 
Il Serlio, invece di citare le architetture del Genga, si compiacque 
di rappresentarcelo scenografo di corte, e certo, in molte occasioni, 
Dito egli fu apparatore magnifico, come alla morte di Guidobaldo I, 
I fed quando innalzò un solenne catafalco, e per le nozze di Francesco 
RE Maria I con Leonora Gonzaga, quando ornò Urbino di archi, che 
o trasformarono la città in una « Roma trionfante ». 
Nella Villa Imperiale (fg. 786), l’opera di Girolamo Genga fu 
di limitata al restauro delle sale interne e alla costruzione di una torre 
i con iscale di legno ammirate dal Vasari. Nel 1523, appena tornato 
i dal Veneto il Duca Francesco Maria, comandante delle truppe della 
f Serenissima, le sale di Villa Imperiale erano pronte a vestirsi 
VENTURI, Storia dell’ Arte Italiana, XI
	        
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