baluardi, tra i quali quelli di Sant’Antonio, di San Lorenzo, della
Maddalena e del Mulino, di pretto tipo italiano dell’epoca, cioè
pentagonali, a fianchi ritirati, spalle quadre e sviluppo limitato.
I primi due furono demoliti quando al loto posto si costruì la
cittadella che ancora esiste.
Ma le necessità dello Stato, che aveva opere difensive quasi tutte
in grande rovina, erano enormi, e il da Ravenna e gli altri tecnici
venivano spediti ora in un punto ora in un altro, dove più urgeva
la loro opera e più minacciavano i nemici. Oltre la frontiera terrestre
richiedeva il loro intervento anche quella costiera: sin da allora erasi
pronunziato un grave pericolo minacciante il commercio del regno
con l’America e con l’India, poichè numerose e forti squadre sara-
cene, inglesi ed olandesi eransi date a percorrere i mati di Spagna
per sorprendere le navi di commetcio spagnuole e saccheggiarle,
impadronendosi degli ingenti carichi che esse portavano.
Il traffico commerciale faceva capo alle città costiere di Cadice,
di Gibilterra, di Malaga e di Cartagena, le quali avevano ampi spec-
chi d’acqua ben riparati contro le tempeste, ma militarmente pressochè
indifesi, tanto che poi si verificarono contro di esse non poche disa-
strose azioni di attacco e di saccheggio. Perciò te Carlo ordinò al
da Ravenna, quando questi rientrò dall’Africa, di visitare le opere
di fortificazione di tali luoghi unitamente al capitano generale di
Granata, marchese di Modejar, essenzialmente per propotte i lavori
che ad esse si rendevano necessati.
Difatti il da Ravenna portò dapprima la sua attenzione su Gibil-
terra, la quale era la più vicina alla costa africana ove si annidavano
i Saraceni, e vi si recò dopo che l’imperatore gli fece rimettere uno
speciale decreto, il cui originale è conservato nell’archivio di Sala-
manca; poi passò nelle altre località, percorse minutamente le coste,
fece i necessari rilievi, concretò varî progetti, e con questi si recò
a riferitne alla Cotte.
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