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steso tra i due. L’arte aveva uopo di rendersi ragione dî
tutto. L’espressione sofferente, affannosa del mendico, la
spontanea compiacenza del generoso San Martino, la superba
andatura del cavallo, le vesti che l’aria gonfia e muove, son
bellezze che richiamano Andrea Pisano. Anche il tipo della
testa del mendico si ritrova nelle figure del campanile di
Santa Maria del Fiore; e qui v’è una facilità di movimento,
una scioltezza che manca nelle figure di Nino, diritte, tirate
a fil di piombo, quali si vedono ne’ bassorilievi della sepol-
tura Saltarelli e di quella del Cavalcanti. Siamo più disposti
a indicare nella lunetta la mano di Andrea medesimo. Del
resto se la lunetta fu eseguita circa il 1332, come fanno
supporre la iscrizione riportata dal Da Morrona* e l’altra
che si legge sulla porta di fianco della chiesa, Nino Pisano
non aveva ancora esordito nella scultura. Non ci è nota la
data della sua nascita, ma, trovandolo per la prima volta
nel monumento del Saltarelli, morto dieci anni dopo il tempo
in cui si edificava San Martino, convien pensare che al padre
e non a lui spetti la mirabile lunetta, tanto più che nel mo-
numento Saltarelli non troviamo la spontaneità delle forme
che si manifesta nel gruppo a bassorilievo sulla porta della
chiesa pisana.
Prima della morte del padre, Nino dunque esordì con le
sculture de’ monumenti sepolcrali di frate Aldobrandino Caval-
canti e dell’arcivescovo Saltarelli, iniziato probabilmente
quando, cacciato il Duca d’Atene da Firenze, lo scultore seguì
il padre fuori di questa città. A. Pisa, oltre che al monumento
Saltarelli, prima del 1349, anno in cui sostituì il padre a
Orvieto, attese probabilmente a diverse opericciuole che
mandò in Sardegna, tra le altre la pietra tombale di donna
Vannuccia Orlandi pisana (7 1345), che si vede nel Museo
di Cagliari, e proviene dal San Francesco di quella città:
vi è ripetuto, probabilmente dalla mano di Tommaso fra-
1 Pisa illustrata, III, pag. 258.