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differente da quello di Jacopino da Tradate, più fine e più
complicato, cadente sul suolo in molteplici pieghe come di
pasta. A Venezia, ove finì i suoi giorni, non resta più nulla
del maestro insigne, quando non si voglia riconoscere nei
doccioni della Basilica di San Marco il segno della sua
maniera.
Jacopino da Tradate, compagno del Raverti, primeggia
su tutti, specialmente per la statua di Martino V, della quale
il Consiglio della Fabbrica il 20 aprile 1421 decretò l’innal-
zamento ad eternalem memoriam sue sanctissime paternitatis.
È la statua (fig. 553) che senza ragione di sorta si volle
corrispondesse al San Marco di Niccolò Lamberti, diversis-
sima invece per la concezione pittorica del monumento. Spicca
sopra l’altissimo drappo che copre il fondo del baldacchino
papale. Con la gran tiara gemmata in capo, solenne, innalza
la destra il vicario di Cristo in terra, il successore di Pietro.
Simmetrico il manto metallico, che s’apre sul petto formando
due archi, e ricade ad archi sulle ginocchia, e da queste ad
archi si srotola sulla base retta da una mensola di gotico
fiorito. Le sagome della figura, della base, del mensolone si
svolgono, si seguono, continuano unite; e alla vite che co-
rona il modiglione s’accordano nell’effetto le pieghe abbon-
danti, minute, piegate e ripiegate sul plinto. Nulla di toscano
in questa pittorica scultura settentrionale di Jacopino da
Tradate, probabile autore di altre statue del Duomo. Dal 1401,
anno in cui fu inscritto tra gli operai della Fabbrica, andò
crescendo di valore e di fama, così che nel 1407 fu nominato
capo e maestro de’ lapicidi, * e nel 1415 scultore a vita della
Cattedrale, con stipendio fisso ed obbligo di tenere presso
di sè e ammaestrare nell’arte tre giovani, poi altri tre, istruiti
que’ primi, e così di seguito. Il Consiglio Generale della Fab-
brica, considerata la perizia di Jacopino nei molti lavori ese-
guiti tan de figura forme umane quam animalium, offrirono
I! UGo NEBBIA, op. cit., pag. 108; MEYEB, op. cit., pag. 63 e seg.