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prende ampiezza e lontananza per i grandi alberi fronzuti
dal grosso fusto che ombreggiano il primo piano; i tre
angioli, l’uno cinto il capo d’un nastro, il secondo d’una
corona di rose bianche e rosse, come usò Domenico di Bar-
tolo a Perugia nel quadro del 1437, il terzo d'una rama
d’alloro, hanno una grandiosità meravigliosa per essere così
unita a forme tenerissime e dolci. Le figure di Cristo e del
Battista, convenzionali immagini di gravità, osservano, più
che le leggi iconografiche, il filo a piombo, le strettoie delle
linee rette dello schema prospettico; sicchè il Battista, nel
movere il passo verso Gesù, sembra macchinale, e la testa
del Redentore con le lunghe orecchie ad ansa, e il taglio
retto delle larghe labbra, e la simmetria de’ lineamenti, mostra
la fatica di Piero, lo sforzo agli inizî dell’arte per impostar le
forme, più che per impastarle. Ma sapeva intanto illuminarle,
pauroso quasi degli scuri, facendo piovere la bianca luce della
nivea colomba dello Spirito Santo, che largisce la vivezza
de’ fiori alle vesti, riflessi trasparenti alle carni alabastrine.
Dopo quest’opera, ove in qualche parte la ragione geo-
metrica vince l’artistica, vuolsi che Piero della Francesca
eseguisse nel 1445 la tavola per la confraternita della Mi-
sericordia in Borgo San Sepolcro; ma, vedendosi in essa
troppe parti eseguite da scolari di Piero, potrebbe supporsi
che, come avvenne per altre tavole allogate al maestro, il
contratto non avesse compimento nell’anno determinato, cioè
ai primi del: 1448. Solo le parti centrale e laterali della ta-
vola, ora nella Pinacoteca civica. di Borgo San Sepolcro,
manifestano caratteri prossimi al maestro: nel mezzo è la
Madonna coronata, con il mantello disteso sopra i confra-
telli della. Misericordia. Con l’alta convessa ironte cinta
dalla corona regale sottoposta al nimbo, ella ha più gravità
che grazia, più maestà per la corona e il velo d’argento che
per il volto; e i confratelli, con le grandi iridi degli occhi
fissi, hanno gli sguardi convergenti verso la Madre celeste,
divoti, non vivi. E quantunque il coro de’ confratelli mostri
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