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la stella cometa, e un altro impugna un bastone, quasi a
difendersi da un nemico, o impaurito alla vista della stella.
La Vergine è in abito di festa, con perle e rubini sui biondi
capelli, non più a mo’ di spazzole, quali li faceva Pier della
Francesca, e con perle e rubini sul corsetto e perle nella scol-
latura della veste. Questa maniera di comporre festosamente
e anche scherzosamente il Presepe si allontana da Piero,
sempre grave e severo; e se ne allontanano i particolari,
nelle mani dalle dita più brevi e affilate, nel colore plumbeo
delle carni.
Lo stesso colore è nel quadro di Brera, già nella chiesa
urbinate di San Bernardino. Il fanciullo dorimente sulle braccia
della madre, mal conformato, non scorcia; e tutte le figure
in quella tinta uniforme, plumbea, passate sotto una stessa
squadra, tirate a uno stesso modo, sono stucchevoli, e mo-
strano Fra’ Carnevale che agghinda, liscia i modelli del
maestro. Egli si ispirò anche a Justus van Ghent, pittore
ufficiale della Corte de’ Montefeltro, il quale rifece le mani
giunte del Duca Federigo, nel quadro di Brera, dandogli
due mani grosse e grasse, invece delle altre convenzionali,
« di pratica », che gli avrebbe dato il Frate. È ricordò Justus
nell’adornare l’Arcangelo Michele della Galleria Nazionale
di Londra, il quale ha perfetto riscontro all’altro sportello di
quadro col San Tommaso d’Aquino nella Galleria di Brera
in Milano. Anche nella rappresentazione del San Michele il
Frate ricorse a mezzucci, col mettere nella sinistra dell’Ar-
cangelo la testa del grosso lucertolone, che, mozzo sotto i
piedi dell’Arcangelo, move ancora la coda vitale. In questo
meschino naturalismo Fra’ Carnevale riduceva gli esemp?
solenni di Piero, quasi sacri.
Un altro seguace arrotonda i contorni del maestro e si
fa terreo di colore: è Lorentino d’Arezzo, al quale appar-
tiene la Storia di San Donato, già assegnatagli dal Vasari,
scoperta in un fienile dei frati presso la chiesa di Santa