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rose le cadono intorno e sulle brevi onde. Una ninfa, angelica
ancella, col bianco vestito adorno di mazzetti di fiori, cinta
di corone il collo e i fianchi, appresta dall’arena a Venere
un manto cosparso di margherite.
Così il Poliziano descrive, nel palazzo di Venere, rap.
presentata nel tempestoso Egeo:
Una donzella non con uman volto
Da” zefiri lascivi spinta a proda
Gir sopra un nicchio ; et par che ’l ciel ne goda.
Vera la schiuma, e vero el mar diresti,
E vero il nicchio, e ver soffiar di venti:
La dea negli occhi folgorar vedresti
E *l ciel ridergli attorno e gli elementi:
L’Ore premer l’arena in bianche vesti;
L’aura. incresparle è’ crin distesi e lenti.
Il Botticelli semplificò la composizione, e invece delle Ore,
che anche nell’inno omerico stanno intorno a Venere emer-
cente dalle onde marine per vestirla delle ambrosie vesti,
dipinse solo una ninfa pronta ad avvolgerla in un manto
fiorito. Però in questo quadro, come in quasi tutti quelli ese-
guiti dopo il ritorno da Roma, dove l’affresco aveva ob-
bligato il pittore a rapidità di mano, non si trova più la fi-
nissima ricerca dei quadri anteriori; e il Botticelli si con-
tenta dell’effetto decorativo, senza curarsi dell’antica preci-
sione del segno, nè della forza di modellatura, nè dei parti-
colari della forma delle rose, fatte a stampa, delle erbe a
tratti, delle onde a scaglie. Già nel Magnificat il disegno
delle estremità è grosso alquanto; nell’altro tondo col Bimbo
che tiene la melagrana par che nasconda le forme grosse
dorando tutto e inghirlandando; e qui nella Venere Anadio-
mene è negletto ancora più, e tutte le ricerche sono sempli-
ficate, ridotte in quella gran carta colorata, sipario di piccolo
teatro.
Ancora un ricordo di Roma con le architetture sullo
sfondo del mare si ha nella Calunnia (fig. 357), soggetto