Full text: La pittura del Cinquecento (9, Parte 4)

mano il metro allo scolaro giovinetto, che uscì dalla scuola, co- 
piate alcune figure di ancone d’altare, con una calligrafia moret- 
tiana. Ma tutte quelle copie gli servirono ogni volta che si chiese 
a lui un quadro sacro, così come il vestiarista teatrale fa ricorso 
al guardaroba per acconciar le comparse. Quando avesse usato 
solo quegli studî, Giambattista Moroni non sarebbe salito molto 
alto nella scala dell’arte; e li usò nelle scarse composizioni reli- 
giose, nelle quali non riuscì a innestare la propria personalità, 
se non guastando il vecchio e sfilacciato canovaccio. Fortuna 
volle che egli acquistasse presto fama di ritrattista, così che a 
Bergamo quanti si distinguevano per le cariche pubbliche, per la 
cultura, la professione, i titoli, accorsero a lui, al pittore che 
sorprendeva negli esterni caratteri i segni della vita interiore. 
Come nel periodo romantico avvenne che un artista, per la via 
del ritratto, lasciasse a poco a poco le lindure accademiche, ogni 
giorno rinnovandosi all’osservazione continua di uomini e cose; 
così nel furoreggiar manieristico, il Moroni, osservando e pene- 
trando i suoi svariati clienti del castello, della piazza e del 
monastero, lasciò le trame abusate del Moretto, i giochi colori- 
stici e i cangiatismi dei manieristi, per guardare con occhi lim- 
pidi la verità della vita. Altri pittori avevan fatto ritratti, chè 
dal principio del ’500 cominciò a farsi comune il desiderio di 
essere effigiati, quasi a conservar l’ombra di se stessi per l’avve- 
nire; ma niuno si era dedicato quasi esclusivamente al ritratto, 
come fece Giambattista Moroni nell’Italia Settentrionale e il 
Bronzino in Toscana. Nel Quattrocento, il ritratto serviva 
allo scambio della propria effigie tra principeschi fidanzati, 
a ricordare qualche magnifico signore; potrebbe dirsi che la 
pittura servisse principalmente, come la medaglia, a scopo ono- 
rario. S’iniziarono perciò, nel Quattrocento, le serie dei ri- 
tratti’ di filosofi, di giureconsulti, di poeti, di capitani, ecc.; 
ma, nel Cinquecento, ogni classe di persone volle la propria serie, 
e l’amore per il ritratto si diffuse comunemente. Ciò si può ben 
credere quando si pensi che in provincia, a Bergamo, tanto si 
distese l’opera di Giambattista Moroni ritrattista, che ci dette,
	        
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