Full text: La pittura del Cinquecento (9, Parte 5)

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rucci, con ovali di volti a punta, lineamenti minuscoli, tonde Mane pe 
boccucce, tondi occhi sgranati da meraviglia, piedi e mani d’in- braccia 
verosimile piccolezza, caviglie tenui, nervose. in dall” 
Si sarebbe tentati, dopo aver dato un’occhiata al quadro 
dell’Accademia, di portar addietro nel tempo la piccola Leda 
degli Uffizi (fig. 60), tanto l’addolcisce nel volto un velo d’ombra, 
nebuloso così da ricordare certi Leonardeschi e il Puligo, e tanto 
ci appare lontana, questa molle cantilena di linee, dal nervoso 
linearismo della tavola dell’Accademia, se lo scatto del piccolo 
nudo a destra, teso sulle gambe aperte a compasso, non ci av- 
vertisse che l’opericciola è di tempo prossimo a quello delle ta- 
volette di Giuseppe Ebreo, dove simile motivo ritorna, sentito 
in ugual modo. Un riflesso di forme leonardesche si scorge nel 
piccolo quadro: non solo per lo sfumato caliginoso che intene- 
risce il volto di Leda e le tonde figurine dei putti, ma anche per 
il vaporoso contorno a sega della montagna, e per quel boschetto 
sull’altura a sinistra, dove sembra vedere un vivo ricordo di 
schizzi vinciani. Nessun quadro più della Leda ci spiega come 
il Vasari potesse dire che il Pontormo aveva imparato da Leo- 
nardo. In cerca di forme nuove, anzi di una sua particolare via 
d’espressione, l’avido intelletto d’Jacopo doveva necessariamente 
volgersi a tutte le fonti ispiratrici che Firenze gli offriva: accanto 
ad Andrea del Sarto, il collaboratore di Fra’ Bartolommeo, 
Mariotto Albertinelli, l’ardito Piero di Cosimo, il misterioso Leo- 
nardo, della cui natura complessa ritrae qualche lato: l’incon- 
tentabilità, l’incessante ricerca, lo spirito d’autocritica, che spesso 
fermava la mano di Leonardo pittore, come quella del grande 
« manierista » fiorentino. « Alcuna volta» dice il Vasari, « an- 
dando per lavorare, si mise così profondamente a pensare quello 
che volesse fare, che se ne partì senz’avere fatto altro in tutto 
quel giorno, che stare in pensiero ». 
Lo sfumato nebuloso, che dà al volto muliebre tenerezza di monotona 
cera e tesse di morbida felpa la campagna, ove i verdi si stingono dagli inca 
e svaporano, par suggerisca al nervoso pittore la cadenza blanda brio del 
delle linee, che dall’arco delle braccia di Leda si ripercuote nel corpi, i d 
serico nastro e nella conca dell’orizzonte. Il nudo, affusato, ri- La fisi
	        
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