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dall’abbandono della mano languida, si sprigiona un fascino de-
licato, quasi lottesco.
Nel ritratto di Alessandro de’ Medici della raccolta Johnson
a Philadelphia (fig. 107), la saldezza costruttiva del ritratto di
Francoforte diminuisce; e l’ampia forma, spianata sotto la cappa
bruna, quasi rientra nel piano della parete marmorea. Dalla
rarefatta penombra del fondo, la luce, dopo aver costruito il
volume di uno stipite marmoreo e sfiorato di un velo radente il
volto assorto in vaga fantasticheria, va a morire sulla parete
sinistra. Nessun ardimento cromatico, ma un ‘accordo nobile
e severo di grigio e di bruno.
Quando, circa il 1540, il Pontormo dipinge il ritratto del Car-
dinale Spannocchi Cervini (fig. 108), ora nella Galleria Borghese,
mira a un effetto di costruzione grandiosa, monumentale, di
romano stampo. È chiaro che egli ha ricordato il ritratto raffael-
lesco di Leon X nel presentarci il Cardinale in un angolo di sala,
davanti a un tavolino con libro e campanello, e nel’ tendere verso
una solennità d’ambiente e di posa che non era nelle sue predi-
lezioni. Ma la ripetizione dei motivi raffaélleschi contribuisce
a mettere in evidenza la libera personalità del Fiorentino. Là
dove il tardo Raffaello vede soprattutto gravità costruttiva di
blocchi murarî e di masse umane, il Pontormo vede, noùdostante
l’ampiezza, slancio di forme leggiere verso l’alto, irrequietezza
di contorni, mobilità di superfici. La placidità dell’immagine
raffaellesca di Leon X par uscire dallo spazio scandito sopra una
misura lenta e solenne di vuoti e di masse, e rispecchiarsi nelle
pieghe dense e grandiose delle stoffe, mentre nel vuoto della sala,
ove anche l’aria manca, la tesa figura del Cardinale s’annuvola
come scossa da interna agitazione. Tutto sembra agitarsi intorno
a lui: il tappeto con la gran piega conica e il mobile rabesco orien-
tale, il libro, che s’addensava massiccio sotto le mani di Leon X,
e qui freme alla pressione delle dita nervose, le marezzature
della mantella purpurea, i solchi del volto scavato dal bulino
dell’ombra: l’iride vitrea smisuratamente s’allarga nell’occhio
fosco, ingrandito da oscuro terrore.
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