Full text: La pittura del Cinquecento (9, Parte 5)

gura 558), sopra una base materialmente punteggiata di stelle. 
Egli si attiene, in fondo, allo schema raffaellesco per la decora- 
zione alla cupola della Cappella Chigi in $. Maria del Popolo; 
ima nei simulacri di Cristo, della Vergine, dei Santi, intagliati 
in cartone chiaro e incollati sul fondo turchino, negli sganghe- 
rati angeli con strumenti dellà Passione, le cui membra, foggiate 
alla michelangiolesca, paion staccarsi, flosce, dai corpi, negli 
altri inginocchiati entro le vesti barocche e faticosamente con- 
torti, riflette l’ultimo sfacelo dell’arte cinquecentesca. 
Un solo esempio, l’effigie del giureconsulto Prospero Fari- 
nacci in Castel Sant’Angelo (fig. 559), ci ha lasciato il Cav. d’Ar- 
pino nell’arte del ritratto, che spesso anche ai peggiori manieristi 
strappa qualche accento di vita. Quest’unico esempio dimostra 
come il soggetto vivente non scuota l’insensibilità del pittore 
alla moda. Anzi, nel quadro di Castel Sant’Angelo si sente la 
fatica del compositore che si trova davanti un tema inconsueto, 
e dai Fiamminghi trae il motivo del mobile di fondo su cui sfar- 
falla qualche cartiglio con scritte, da Raffaello la posa, di una 
pesante monumentalità; e in ogni particolare della scena messa 
insieme a pezzi, automaticamente, il tavolo e la scansia fuor 
di prospettiva, il torso del grande fantoccio ligneo, le mani 
secche con dita a bastoncelli, dislocate stranamente nei gesti, 
lascia scorgere un’assoluta incapacità costruttiva. La maniera 
movimentata del Cav. D’Arpino qui par colpita d’improvvisa 
atassia; tutto divien inerte: i mobili senza corpo, i fregi del tap- 
peto persiano, il troncone di legno del personaggio, la testa con 
grandi lineamenti scultorei. 
Con quest’opera morta, chiude la sua carriera artistica il pit- 
tore del belletto e degli orpelli, che aveva scorazzato spensiera- 
tamente per l’intera vita dal campo veneto al campo romano, 
vedendo tutto in falso: la luce, non fusa col colore, la forma, 
di cui più non sa intendere il ritmo plastico. Campione, a parole, 
dell’idealismo cinquecentesco, egli scambia il lustro per la luce, 
il turgido per il grande, il leziosismo per la grazia. Si compiace 
di un tipo di bellezza paffuto e vacuo; sovrappone sciocche te- 
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