Full text: La pittura del Cinquecento (9, Parte 7)

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retto: il Cristo che, nelle Crocifissioni del Robusti, incombe im- 
moto sopra il tumulto della terra, qui pencola da un lato, come 
seguendo il rotear delle donne, nel basso; mal si regge, indie- 
treggiando, la tortile figura di San Giovanni. E l’alone tinto- 
rettesco del Redentore, non più diffuso in tutto il fondo di 
cielo, come nel Crocifisso di Jacopo ai Gesuati, non raggiante 
sopra un fondo di nuvolaglia compatta, come a San Rocco, 
perde tutto il suo valore fantastico, ritagliato così sopra un 
cielo tizianesco a nugoli squarciati dalla folgore e scoppi di luce 
nell’ombra. 
‘Tra le migliori manifestazioni artistiche di Leonardo Corona 
è anche la serie di tele dipinte per la gran sala terrena dell’Ateneo 
Veneto, già scuola di San Girolamo, ove egli fu compagno al 
Palma Giovane, decoratore del soffitto. La violenza di un chia- 
roscuro intenso e dinamico e l’ampollosità dei volumi sbalzati 
in fuori dalle luci che a sprazzi li investono, dimostrano come il 
Corona, avvicinandosi al Palma, si trasporti in pieno Seicento. 
Pregiordaneschi, nella Caduta di Cristo sotto la Croce (fig. 155), 
sono i fiotti di luce bionda, come ultime volute d’incendio, dietro 
la linea oscura del terreno e le macchiette opalescenti di cavalli 
e cavalieri. La Maddalena discinta nel gran viluppo del man- 
tello di velluto amaranto, con la criniera falcata da luci metal- 
liche, erompe dal basso come rapita a volo dalla furia del do- 
lore. E in tutta la scena è una violenza d’effetti, una forza bruta 
espressa dal cadere dell’ombra, dagli strappi di luce. 
Nella balenante Deposizione (fig. 156), può scorgersi un tin- 
torettismo alla Palma Giovane, ma incrudito, specialmente nella 
massa schiantata del Cristo; e anche qui la calvizie dell’uomo 
in ginocchio, lucidata dal lume che scende dall’alto, è un chiaro 
preludio all’arte sanguigna e plebea di Luca Giordano. Lampi 
metallici corron su tutta la scena dal cielo strisciato di nubi 
accese, come di torrenti di luce. 
Scolaro di suo padre Michele, miniatore, poi copista d’opere
	        
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