5. — ALLIEVI DI RAFFAELLO: GIULIO ROMANO 33I
con le cornici a onde, gli altaroni delle cappelle a destra e a
sinistra, i timidi timpani tra i grandi capitelli, i cassettoni delle vòélte
a sbarre e dischi frammentari, i timpanetti sovrapposti alle porte
come sgabelli, le grosse meccaniche intrecciature dell’abside, il sof-
fitto sopra elevato della crociera e del coro, a coperchio di cesto,
il catino dell’altar maggiore, come di vimini intrecciati. Il non senso
architettonico del Bertani si spiega da per tutto, in cerca d’espres-
sioni pittoriche: le reminiscenze bramantesco-raffaellesche del maestro
vanno in fumo, la classicità rovina, la maestà si trasforma in effetto
carnevalesco.
A Mantova, in via Pomponazzo, nel convento già dei Carmeli-
tani (fig. 298), pure del Bertani, si vede il basamento esterno a bugne
rientranti, concave; zone sporgenti, o incassate; fasciature sotto le
lesene, tra gli stipiti delle finestre; e l’insieme rimane materiale e
freddo traverso tutto quel giuoco di grossi effetti.
In via Trieste, son due colonne (figg. 299-300), una fasciata da
rami di vite, con base a gradi su gradi; l’altra in sezione, con note
da Vitruvio. È un ricordo fuori posto nell’architettura bislacca del
Bertani !
Solo nel portico del giardino pensile di Palazzo ducale il seguace
di Giulio Romano, forse perchè il suo disegno fu eseguito da Francesco
Trabalese, architetto fiorentino, trovò eccezionale grandezza nella
teoria di colonne abbinate d’ordine toscano, attigue alla sala dei
Fiumi, la quale fu costruita sopra una corsìa del portico distrutta.
L’interprete corresse, aggiustò, modificò, ridusse il disegno del man-
tovano, che forse non l’avrebbe più riconosciuto come proprio, nè
avrebbe potuto vantarsene.