430 II. — RIFLESSI MICHELANGIOLESCHI NELLA SCULTURA
sino alle grosse caviglie, la figura della Temperanza apparirebbe,
vicino alle fulgide Virtù del monumento Benavides e alle squisite
eleganze della Terra, di Leda e di Venere Anadiomene, come una
rozza servotta accanto al fiore dell’aristocrazia cinquecentesca to-
scana. Eppure della tomba Buoncompagni il vecchio scultore,
colpito dai terrori della controriforma, si compiace nella lettera del
22 agosto 1582 agli Accademici del disegno, sul tema dell’inutilità
e dell’abbominio del nudo dell’arte: « Fummi imposto dalla Santità
di N. $. Papa Gregorio XIII, ch'io dovessi fare una sepoltura tutta
di marmi per un suo cugino in Campo Santo di Pisa, il quale per
essere stato eccellentissimo Legista, mi parve di fare una Giustizia,
e perchè le buone leggi partoriscono la Pace, feci anco la statua di
lei, e perché dove dimora la Giustizia, e la Pace, v’è nel mezzo il
Signore Salvator nostro però posi nel mezzo la statua di Gesù Cristo,
che mostra le Santissime, e salutari sue piaghe. Dalla qual sepol-
tura ne trassi più onore, e giovamento, che di altre statue clio abbia
fatto giammai; perciò che, avendone buona relazione il beatissimo
Pontefice, mi fece donativo di molta somma di danari, oltre ad ogni
buono, e largo pagamento ». La convinzione della bellezza della
propria opera non era forse nell’animo dell’artista, che solo vanta
il successo di essa, aggiungendo che dalla fonte del Nettuno a Firenze
« manco onore assai ne ritrassi »; ma le parole del vecchio scultore,
in questa lettera, che è il «mea culpa » di un animo sconvolto dai
principî della Controriforma, son la negazione della sua vita d’artista,
di quell'amore per la bellezza, di cui s’alimentò la fiamma dell’arte
nel Rinascimento: «Il quale mio in vero non piccolo errore, e di-
fetto (di aver fatto molte figure ignude), non potend’io in altra guisa
ammendare e correggere, essendo, che è impossibile di stornare le
mie figure, overo dire a chiunque le vede o vedrà, ch'io mi dolgo
d’averle così fatte, lo voglio pubblicamente scrivere, confessare e
far giusta mia possa, noto ad ognuno, quant’io facessi male, e quanto
io me ne dolga, e me ne penta; e a questo fine eziandio, che gli altri
siano avvertiti, di non incorrere in cotal dannoso vizio. Peroché
prima, che offender la vita politica e maggiormente Dio benedetto,
con dar cattivo esempio ad alcuna persona, si dovrebbe desiderar
la morte, e del corpo, e della fama insieme ». L’ombra dello sgomento
religioso oscura gli ultimi anni dello scultore, che verso il 1590 scri-