Full text: Marte nel 1896-97

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di aspetto, Ja lunghezza enorme, e soprattutto la figura ret 
tilinea, che rende alcuni di essi assimilabili a linee fatte con 
la riga. Ebbene, di tutte queste misteriose apparenze qual’è 
la sostanza? Basta sostituire al binocolo il telescopio, per 
veder svanire non soltanto l’uniformità e la dirittura delle 
linee lunari, ma l’aspetto stesso di linee. Le quali si rivelano 
allora per quel che sono, cioè null’altro che grossolani alli 
neamenti di macchie eterogenee, sparse affatto casualmente, 
lungo certe direzioni. Quelle, dunque, che nel binocolo sem 
bravano le qualità più salienti e strane delle linee lunari, 
voglio dire l’uniformità di larghezza e la figura retta, erano 
pure illusioni prodotte dalla distanza. 
Lasciando ora la Luna del binocolo, per tornare al Marte 
telescopico, sembrerà forse ardito il supporre che le apparenze 
regolari e l’uniformità geometrica dei fili tesi siano anche 
esse pareggiamenti fittizi operati dall’occhio? 0 non sembra, 
piuttosto, codesto modo d’interpretazione, il più plausibile, 
come quello che viene suggerito dalla più naturale delle 
analogie? Noi dunque riterremo che i « fili tesi » siano linee 
condotte dall’occhio attraverso i residui del rischiaramento 
delle fasce-madri. In tal modo cessano per noi i canali 
d’essere categoria a parte fra le strisce di Marte. Là dove 
l’occhio percepisce una linea retta, noi immaginiamo una 
striscia, affatto analoga alle strisce più oscure, dette mari, 
ossia un aggregato di macchie mal separabili nel telescopio 
attuale, e raggruppate lungo una data linea. Tra le fasce- 
madri e le altre strisce vi è una sola differenza, e riguarda 
la densità di distribuzione, oppure l’intensità degli elementi 
oscuri. Mentre in una fascia-madre gli scuri sono così par- 
telescopi imperfetti. È notevole come il fenomeno reale delle strisce chiare 
si mescoli, in tali figure, col fenomeno illusorio delle strisce oscure, dando 
origine ad immagini assai bizzarre. Nella Luna il Fontana vedeva linee 
lunghissime, che chiamava rivi o rivoli, dando il nome di fontes ai cra 
teri verso cui le dette linee convergono. Il telescopio di Fontana non 
sembra aver posto l’astronomo napoletano, rispetto alla Luna, in condi 
zioni molto migliori di quelle in cui gli areografi odierni sono collocati, 
rapporto a Marte, dai loro telescopi. 
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