Contents: La pittura del Trecento e le sue origini (5)

_ - Grazia, in atto di baciare i piedi, già cosparsi d’unguenti, 
- - bagnati dalle sue lagrime e asciugati dalle sue chiome in 
- casa del Fariseo: personificazione più evidente della reden- 
zione delle anime ottenuta col sacrificio dell’Uomo-Dio. Il 
Crocefisso di Perugia (fig. 21) non serba più se non gli ele- 
menti primitivi della rappresentazione pittorica: Maria e Gio- 
vanni dolenti ritornano ne’ rettangoli, all’estremità de’ bracci 
della croce; in alto si dispongono altri due angioli dolenti, di 
qua e di 1à di Maria, la quale non mostrasi più quale fram- 
mento della scena dell’Ascensione di Cristo; sopra al ret- 
tangolo del braccio verticale, un tondo con Gesù benedicente. 
Tl concetto antico si è andato oscurando, chè sempre, alla 
sommità della croce, s’era veduta Maria tra angioli e pro- 
feti, fissi con gli occhi in alto, verso Cristo nella gloria. Qui 
gli angioli piangono, quasi non stessero più nel coronamento 
glorioso dell’insegna cristiana, che diviene perciò sempre più 
lugubre e funeraria. Solo il Trecento saprà dare bellezza alla 
morte, a Cristo sospeso sulla croce, col capo chino, come in 
ascolto delle preghiere della umanità; e in alto metterà, nuovo 
unico simbolo, il pellicano che dà cibo di sè a’ proprî nati. Il 
Crocefisso di Perugia e gli altri dell’abside di Santa Chiara 
d'Assisi, di San Domenico (fig. 22) e di San Francesco di 
Arezzo (fig. 23 e 24) sembrano sentir la scossa data dal 
risorto romano Niccola d’Apulia, e annunciare la grande 
arte di Cimabue. Le ossature de’ corpi si fanno più forti, i 
muscoli più atletici: Cristo è un potente che soggiace alla 
morte, è il leone che manda il ruggito dal Golgota. Non 
Cimabue (fig. 25), che creò ad Assisi il dramma della Cro- 
cefissione, eseguì il Crocefisso attribuitogli in Santa Croce 
a Firenze, opera piuttosto di un riduttore delle vecchie rappre- 
sentazioni, povero nel modellato di quella figura lunga e curva 
come fusto di salice. Ma intanto, in quest’ultima serie di 
tavole, vediamo che gli sforzi dell’età romanica e de’ precur- 
f; sori e contemporanei di Cimabue giunsero a dare lo schema 
i della rappresentazione ai maestri della fine del Dugento e 
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