DI EUDOSSO, DI CALLIPPO E DI ARISTOTELE
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quanto dice nel XII della Metafisica , che egli non stimava
sufficiente quanto fino a lui dagli astronomi era stato detto
intorno al movimento dei pianeti, perchè si esprime così (*):
« Noi assumiamo qui per vero quello che dicono alcuni dei
matematici, nello scopo di farci intendere, e per determinare
in qualche modo i nostri pensieri intorno al numero (dei mo
vimenti celesti); del resto, possiamo o far ricerca noi medesimi,
o profittare delle informazioni ulteriori che possono darci coloro
che sogliono occuparsi di queste cose, tenendo tutti in conto,
accostandoci però alla sentenza più certa ». Ma enumerati nel
medesimo libro ( 2 ) tutti i movimenti, aggiunge: « E tale sia il
numero dei movimenti, onde con probabilità dobbiamo assu
mere, che le essenze ed i principi immobili e sensibili siano
in egual numero: qual sia il necessario (numero), laseeremo
dire ai più dotti di noi ». Le parole: E tale sia, e, con proba
bilità, e T abbandonare la cosa ad altri più dotti, indicano du
bitazione intorno all’ argomento.
15. Dunque, secondo il consiglio d’Aristotele medesimo,
sarà più vantaggioso seguire quei posteriori (astronomi), che
meglio resero ragione delle apparenze, sebbene neppur essi
con intiera perfezione; atizichè i precedenti, i quali non ave
vano avuto ancora cognizione di tanti fenomeni, perchè non
erano ancora arrivate in Grecia le osservazioni di 1903 anni ( 3 ),
defezione dei peripatetici dalle revolventi dello Stagirita, e l’adesione che
(con buone ragioni) essi diedero, dietro l’esempio di Sosigene, alla teoria
degli eccentri e degli epicicli.
(') Metapliys. XII, 8.
(-) Nel passo che forma la nostra Appendice 1.
( 3 ) Tanto Brandis e Karsten quanto il Codice di Torino, leggono: stò>v
yfiiOSv wù ivuQtd.Sctìv tqtdrv: ciò che importa 31000 in luogo di 1903, numero
dato dal latino e dall’edizione aldina. Tutti gli eruditi più recenti si sono
attenuti alla versione 31000, la quale ha l’inconveniente di convertire in una
favola impossibile una narrazione per sè possibilissima e confermata da
scoperte recenti. Come dottamente osserva il Lepeius ( Chron. der Aegypter,
p. 9), il dubbio è derivato dalla trasformazione del segno fli del 900 nel se
gno M della miriade. In favore della lezione 1903 parla pure la costruzione
della frase qui sopra riferita, la quale suona assai meglio surrogando
évveaxooicov a puptaòcov: e il fatto, che il codice su cui Guglielmo di Meer-
beke fece la sua traduzione latina sullo scorcio del secolo XIII, era pro
babilmente più antico di quello, da cui trassero la lezione di questo passo
il Brandis e il Karsten. La questione sembra abbastanza importante per
esser esaminata da capo dii persone competenti, coll’aiuto di tutti i codici
che si potranno ancora rinvenire.